Se c’è una cosa che mi diverte di Rivals – la serie Hulu uscita nel 2024 e basata su un romanzo del 1989 di Jilly Cooper – è l’espressione confusa delle persone quando dici che sì, è un romance, e che no, non è una storiella d’amore alla Harmony. “Ah, ma quindi è una cavolata sentimentale?” No, è molto di più: è una commedia umana travestita da guerra, da pancia della provincia viscerale degli anni ‘80, da televisione che vuole sembrare glamour ma sa di moquette, lacca e caffè bruciato.
Sì, Rivals è romance. Ed è romance con la R maiuscola, non per la quantità di amore, ma per il modo in cui usa il mondo per raccontarlo. Perché qui non si parla solo di amori, ma di potere, status, ambizione, desiderio, voglia di emergere da un pantano di provincia e, soprattutto, di farlo davanti alle telecamere. Perché negli anni ‘80 tutto doveva essere visto. Tutto doveva brillare, anche quando puzzava di marcio.
Il romance è ovunque (e non possiamo continuare a far finta di no).
Mi fa impazzire quando la gente pensa che il romance sia un genere “piccolo”. Rivals arriva su Disney+ e ti sbatte in faccia un fatto semplice: il romance è dappertutto. E quando è scritto bene, quando è costruito su generazioni e dinamiche sociali, diventa quasi una cronaca di costume. Altro che cuoricini.
Questa serie lo dimostra con un’eleganza spietata: la storia d’amore non è un orpello, ma un motore narrativo, una lente per guardare il contesto. Qui l’amore, o meglio, la tensione amorosa, serve a raccontare:
come funziona il potere nei media,
come il successo dipende dall’immagine,
come l’ambizione sia un’ossessione estetica,
come la provincia voglia diventare metropoli anche se ha solo il budget per una fiera della salsiccia sotto Natale.
Ridere, soffrire, competere, desiderare: è tutto romance, e nessuno può nasconderlo. Rivals lo grida nel modo più efficace: con personaggi che vogliono vincere, sedurre, ferire o emergere.
È l’amore come carburante del dramma sociale. E si nota in ogni scena.
Una guerra televisiva sotto il neon sbiadito della provincia.
L’ambientazione è la mia chicca preferita: il mondo della televisione locale britannica degli anni ’80. Non aspettatevi palazzi di vetro scintillanti o studi televisivi da milioni di sterline. Qui è tutto più… finto-lussuoso. Più provinciale. Più divertente proprio per questo.
È un’arena minuscola dove tutti recitano come se fossero in prime time mondiale, mentre dietro le quinte litigherebbero per l’ultima ciambella con glassa rosa. Lo adoro. Perché quando l’ambiente è ridicolo, i sentimenti diventano serissimi. È la rappresentazione della noia provinciale in cui i sentimenti diventano motore di tutto.
Ma parliamo di Rupert.
Non posso non parlare dell’age gap. Non tanto perché sia scandaloso, è il mio trope per eccellenza, ma perché è scritto bene. Rivals fa quello che voglio sempre da questo trope: non si limita a dire “lui è più vecchio, lei è più giovane”, ma lo usa per creare dinamiche di potere, frustrazione, desiderio e scelte sbagliate. Rupert, in particolare, è un uomo maturo che riesce a essere affascinante e disgustoso nel giro di dieci minuti. Un mix perfetto di carisma e pessimo carattere, di stile e arroganza.
L’ho amato? Sì.
L’ho odiato? Anche di più.
È questo che cerco: personaggi che non si possano infilare in una categoria morale.
Rivals non ha fatto un passo falso che rovinasse l’esperienza. Non dico che sia perfetta, ma è coerente, godibile, costruita con intelligenza e con quella sfacciataggine narrativa che ti fa dire “finalmente qualcuno sa cosa sta facendo con un romance!”.
Non voglio inventarmi un difetto solo per sembrare obiettiva. Se un piatto è buono, me lo finisco. Se una serie funziona, me la godo (guardata tutta in un giorno, ops). Rivals funziona.
La verità è che Rivals è per chi ama:
le storie di ambizione e gusto un po’ retrò,
gli intrighi di provincia con sogni di grandezza,
gli scontri,
l’iconico equilibrio “ti odio ma ti amo”.
Molti spettatori guarderanno la serie pensando “che storia brillante”, e non capiranno immediatamente che dietro c’è l’intelligenza del romance puro. Non quello mieloso, ma quello che mette il sentimento nella dinamica sociale più che nel letto.
Un romance che si traveste, ma non si nasconde
Quello che mi conquista davvero è il modo in cui la serie onora il suo libro d’origine senza sembrare datata. È del 1989, ma parla come se fosse uscita ieri. Perché l’amore – quello che è anche guerra, ambizione, bisogno di riconoscimento – non passa di moda. E quando qualcuno lo tratta con lo stesso rispetto che altri riservano ai thriller politici o ai drammi familiari… ecco che il romance si prende la scena e dice: Ciao, sono ovunque. Impara a riconoscermi.
Conclusione?
Consiglierei Rivals a chiunque abbia voglia di divertirsi, innamorarsi, arrabbiarsi, sospirare o fare tutt’e tre le cose mentre fissa uno schermo.
Consiglierei Rivals a chi crede che il romance sia solo sesso senza trama.
La consiglierei anche ai cinici cronici: quelli che “non guardo cose d’amore”. Sorpresa, tesoro: l’hai già fatto per tutta la vita, solo che non te ne eri accorto.
